In “Un approccio culturale allo stress lavoro correlato” (Mossi et al. 2011) gli autori descrivono come a fare da cornice ai modelli fin ora descritti è l’assunto secondo il quale lo stress è un fenomeno individuale fortemente legato alle caratteristiche di personalità dell’individuo e in stretta relazione con il contesto all’interno del quale lo stesso individuo interagisce, fino a diventare un luogo-contenitore di differenti stressor, legati questi alla organizzazione materiale del luogo, alle relazioni sociali (conflitti, disagi, prevaricazioni), alle dimensioni di vissuto individuale inserite nell’ambiente.
L’approccio culturale descrive come l’individuo, il contesto e la reciproca interazione tra le due istanze sembrano divenire i nessi attorno ai quali inscrivere le dinamiche organizzative che sovraintendono alle categorie di costruzione del fenomeno stress; per dinamiche organizzative gli autori intendono i processi di costruzione di significati che gli attori sociali mettono in atto al momento dei loro scambi comunicativi. Dunque, lo stress, inteso come precipitato di categorie cognitive e relazionali, apre a un’ulteriore prospettiva che contribuisce a orientare il proprio sguardo oltre la semplice dimensione individuale, intervenendo invece nella contingenza delle dinamiche simboliche, inconsce che attraversano ogni aspetto della convivenza all’interno di un dato contesto condiviso.
Una goccia d’acqua presa in modo isolato ha una propria struttura molecolare, versata all’interno di un bicchiere colmo d’acqua, pur mantenendo la propria struttura originaria, finisce con l’adattarsi alla forma del recipiente che la contiene; allo stesso modo, parafrasando, un pensiero isolato all’interno di un universo di pensieri produrrà tendenzialmente un pensiero “comune” (Mossi et al. 2011, p. 202).
Per contenitore, il bicchiere utilizzato nella metafora o il contesto in cui l’individuo interagisce, diversamente da quanto si potrebbe pensare, gli autori non intendono il mero ambiente, ma la più ampia dimensione culturale.
Secondo gli autori la cultura si manifesta talmente pervasiva e imponente da risultare invisibile agli occhi di chi di quella cultura è intriso.
La cultura non è un contenitore definito, ma come uno spazio aperto diventa uno spazio di frontiera in continuo divenire, dinamica e pluralistica:
è dinamica in quanto segue percorsi che ricorsivamente gli individui co-costruiscono nelle loro narrazioni di vita; pluralistica perché gli individui all’interno di un contesto condiviso non rimangono mai uguali a se stessi, ma ri-definiscono sulla base di un terreno comune i significati che sottendono la loro relazione nel “qui ed ora” di quel ben definito campo di interazione.
Sul piano cross-culturale ritroviamo in modo più concreto l’articolo di Bryant et al (2011) nel quale si descrivono le difficoltà di interpretazione degli eventi stressanti, più precisamente relative all’ASD nelle varie culture.
Bryant (ibidem) descrive l’esempio della caratteristica distintiva dell’ASD: la dissociazione. Il ruolo della dissociazione nel contesto cross-culturale è complicato perché gli stati dissociativi hanno diverse connotazioni nelle diverse culture. Bryant (ibidem) riporta come i livelli di dissociazione generale differiscono tra le diverse razze ad esempio tra gli afro-americani e gli asiatici-americani riferiscono tassi di dissociazione più elevati rispetto a bianchi americani.
Mentre il DSM presume la dissociazione peritraumatica come una risposta disadattiva ed un precursore della psicopatologia, molte culture percepiscono gli stati dissociativi come manifestazione di spiritualità o quadri religiosi che possono essere considerati adattivi.
È stato suggerito che, mentre in società individualistiche (cioè società occidentali) avere una visione dissociata di se stessi è considerato aberrante, in società collettiviste è comune vedersi in relazione con ciò che ci circonda. Sebbene gli stati dissociativi possono riflettere reazioni disadattive, in molte culture è prematuro presumere che gli stati dissociativi dopo traumi siano indicativi di uno scarso adattamento. Va notato che lo stesso si potrebbe dire della paura, ansia, tristezza e altre risposte che possono essere appropriate e adattive in alcuni contesti e disadattivi in altri.
Nel DSM-5 (APA 2013) troviamo come sindromi culturali e idiomi di sofferenza influenzano l’espressione di PTSD e la gamma di disturbi in comorbilità in diverse culture, fornendo modelli comportamentali e cognitivi che collegano le esposizioni traumatiche a sintomi specifici; ad esempio, i sintomi di attacco di panico possono essere salienti nel PTSD tra cambogiani e latino-americani a causa dell’associazione dell’esposizione traumatica con attacchi khyâl e ataque de nervios panico-simili.